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Sezione I – I primi movimenti del cuore

Posto di blocco

Da quanto tempo stavamo insieme?
Non ricordo quanto fossimo vicini
al Natale,
ma venni a prenderti lo stesso.
I tuoi nuovi orecchini riflettevano sul finestrino
il bagliore cieco della predestinazione
e allora non potevo sapere che eri un drago bicefalo.
Mi massaggiavi i capelli con la mano
che si apriva e chiudeva pulsando come un cuore.
Io guidavo con l’indice della sinistra
tra le labbra, un passaggio a livello
perennemente chiuso.
Aspettavo, aspettavo. Aspettavo che tu vuotassi il sacco,
che mi dicessi che niente era vero,
che la mia vita non era cambiata di una virgola.
Però te ne stavi lí torre pendente
che sferzava il tempo degli immobili,
un Platone che si è amato troppo a lungo.

La spia arancione della benzina fece scattare l’allarme
e mi costrinse a chiederti quale scorciatoia
fosse piú lunga della tua sciarpa.
Alla stazione di servizio vicino casa tua
c’era un polacco congiurato dai cani,
che dava loro ordine di riposo nella lingua della palude.
Si avvicinò alla macchina come un gigante di marmo
e accettando i soldi che gli davo per essere riconosciuto
cominciò a pulire il parabrezza.
Su e giú a colpi di spugna
cercava di farmi aprire gli occhi,
di mostrarmi il tuo vero volto.
Io, però, andai via, credendo che per quello
fosse troppo presto.

Dopo duecento metri ci fermarono ad un posto di blocco.
“Buonasera. La signora qui di fianco è sua moglie?
No, perché sa, dalla foto sulla patente
lei sembra un altro
e le sue cicatrici non sono cosí evidenti”.
Tu mi guardasti e mi sorridesti.
Subito dopo, ripresa la marcia,
aggiungesti che ti sarebbe piaciuto
essere una di quelle cicatrici.
La piú grande, la piú bella, la piú perfetta,
quella che l’impiegato del comune
annota come segno particolare
sulla carta d’identità.